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Giuseppe Tommaselli

Nato a Soave il 30 agosto 1733 da Giovanni Battista e da Elisabetta Dallocca, Giuseppe Tommaselli giace pressoché sconosciuto a molti ricercatori. Solo ultimamemte, grazie ad un rinnovato interesse per la storia della scienza, il suo nome inizia ad affiorare e mano a mano che le sue numerosissime opere cominciano ad essere lette si ingrandisce la sua figura di scienziato e di studioso.
Ma molti tasselli mancano ancora; il primo è quello dalla mancanza di conoscenza della sua vita sino a quando si affacciò al mondo della cultura. Molto riservato, non apparve o forse non fu realmente capita la portata della sua intelligenza neppure ai contemporanei se assai poco s'ingegnarono per studiarne almeno la vita. Divenuto sacerdote, colpito da una forma di sordità che lo accompagnò per sempre, pare abbia rinunciato a dedicarsi esclusivamente alla cura d'anime. Come pure non si conosce la tipologia specifica dei suoi studi, quegli stessi che gli permisero di dedicarsi con rigore e applicazione a svariate discipline.
Rivolse le sue attenzioni alla chimica, in un momento di straordinario interesse per quella scienza che stava conoscendo nuovi orizzonti; si occupò di agricoltura nei molteplici aspetti che la stessa andava mostrando; fu ricordato per il suo impegno negli studi geologici associandoli a quelli piú vasti sulle scienze della terra; fu un esperto meteorologo; probabilmente si cimentò pure nello studio della letteratura e di Dante, in particolare.
Fu membro effettivo dell'Accademia di Agricoltura Commercio e Arti dal 1784 dove non ricoprí alcuna carica istituzionale ma dove si prodigò con l'apporto della sua scienza pubblicando e lasciando un buon numero di opere manoscritte. Venuto a mancare nel 1798 Antonio Cagnoli, a lui fu confidato l'incarico di redigere le Osservazioni meteorologiche, compito istituzionale dell'Accademia, che egli assolse ininterrottamente da quell'anno sino al 1816 sia da solo sia, piú tardi, assieme ad altri accademici.
Non appartenne - il suo nome non appare ufficialmente tra gli adepti - all'Accademia degli Aletofili ricostituita nel 1768 e i cui iscritti confluirono a poco a poco nell'Accademia di Agricoltura. Aderí prontamente, invece, alla costituzione della Società Letteraria rispondendo alla chiamata di alcuni cittadini il 20 maggio 1808: anche qui non ricoprí alcuna carica istituzionale ma preziosa fu la sua opera quale collaboratore di Luigi Torri nella conduzione del "Giornale dell'Adige" di cui fu il compilatore ufficiale e il correttore, incarichi per i quali fu regolarmente retribuito.
Non fu mai chiamato ad essere un membro nella prestigiosa Accademia dei XL fondata e diretta a Verona dal Lorgna; ma ne fu il vice-segretario, il direttore-correttore responsabile delle pubblicazioni e, senza ombra di dubbio, il collaboratore piú attento del fondatore per alcuni anni sinché s'interruppe, nel 1794, ogni rapporto con il Lorgna e con l'Accademia stessa; non pubblicò nulla nelle Memorie ufficiali dal momento che solo i membri potevano accedervi, non fu quasi mai ricordato e nessuno parlò di lui se non come "direttore della stampa", "soggetto non comune", "il gentilissimo Tommaselli", "quel pretino oscuro" come appare dalla corrispondenza degli studiosi. Nelle numerose lettere dell'abate, sparse in parecchie biblioteche, non appaiono cenni personali a questa lunga collaborazione né ai motivi della sua interruzione anche se non siamo lontani dalla realtà adducendo l'accoglimento senza condizioni del Tommaselli verso le nuove idee lavoisieriane sulla chimica che, invece, a Verona trovarono forti opposizioni.
Pubblicò molto ma scrisse assai di piú e tra gli amici-estimatori si annoverano scienziati e studiosi di grande levatura (Alessandro Volta, Giuseppe Olivi, Giovanni Arduino, Anton Maria Lorgna, Agostino Vivorio, Giovanni Antonio Giobert, Vincenzo Dandolo e molti altri); con lui ebbero a che fare - talora scontrandosi in aperto contrasto - i chimici tradizionalisti, quelli legati alla vecchia concezione flogistica, che ebbero nel Lorgna il loro strenuo difensore: ma anche in queste situazioni, Giuseppe Tommaselli dimostrò sempre di essere un uomo al di sopra delle remore personali, non abbassò mai la sua critica a livelli non dignitosi, difese fieramente - perché convinto della bontà delle sue ricerche e intravvedendo il futuro della scienza - le sue convinzioni con le armi dello studio e della ricerca.
Essendo impossibile rendere conto di tutte le attività pubblicistiche dell'abate soavese, ci limiteremo ad enunciarne alcune, probabilmente le piú importanti.
Nel 1785 uscí un'opera del Tommaselli spesso dimenticata, Della cerografia, scritta per difendere il Lorgna; oltre a dimostrare una straordinaria conoscenza della cultura classica che prese a pretesto per argomentare il suo studio, l'abate si cimentò in una diatriba, solo apparentemente marginale, dove faceva il punto sulla pittura a encausto appena illustrata dal Lorgna e ricostruendo una storia di un procedimento antico sul modo di dipingere venuto allora di moda in conseguenza delle scoperte pompeiane; la competenza tommaselliana, la perfetta conoscenza di una metodologia che aveva permesso agli artisti antichi di immortalare per i secoli futuri le loro opere fanno ancora oggi, del trattato in questione, un punto fermo sull'argomento.
La seconda metà del secolo XVIII fu caratterizzata, tra le molte altre vicende, dalle intuizioni e dalle scoperte di Lavoisier che rovesciavano le idee sulla chimica tradizionale. Immediatamente tradotto in Italia dal Dandolo e accolto dal Giobert che ne fu il primo propagatore, il Trattato elementare del francese incontrò favorevolissime accoglienze e ferocissimi attacchi. Nel 1793 il Tommaselli pubblicava una sua operetta replicando ad uno dei Quaranta con larga dovizia di argomentazioni e dimostrando di essere perfettamente a conoscenza di quanto accadeva nei consessi accademici italiani e stranieri. Ma già l'anno prima Tommaselli aveva dato modo di non essere allineato con la scuola chimica veronese che pure aveva goduto di grande respiro e di non lieve attenzione; pubblicando un lungo saggio sull'arte di fare il nitro - materia divenuta importantissima all'epoca per gli usi agricoli in una rinnovata visione delle coltivazioni e della concimazione - aveva praticamente rovesciato alcune osservazioni lorgniane, e non solo, imponendosi improvvisamente all'attenzione dei chimici italiani. Tutte queste attività, chiaramente contrarie alla chimica flogistica in auge a Verona come ancora in molte parti d'Italia, non potevano probabilmente non alienargli le simpatie del Lorgna nonostante il Tommaselli avesse difeso l'illustre studioso in precedenza; cosí, come sopra detto, nel 1794 avvenne il distacco dall'Accademia dei Quaranta e in questa sede il suo ruolo fu preso da Agostino Vivorio.
È di questo periodo l'avvicinamento ad Alessandro Volta con il quale il Tommaselli rimarrà in contatto epistolare e in una lunga e costante corrispondenza scientifica.
L'abate si andava, nel frattempo, occupando anche di geologia e di fisica del territorio pubblicando sulla genesi delle lave compatte, sulla vulcanicità dei monti Euganei, sulla mineralogia, sulla storia naturale e sulla zoologia. Attratto, come anche nelle discipline testé citate, dal vento di novità che aleggiava su tutte le scienze grazie alla spinta delle idee transalpine che avevano invaso soprattutto le menti italiane piú attente a cogliere i segni della incipiente rinnovata ricchezza culturale, Tommaselli si diede a studiare anche la botanica pubblicando almeno due contributi interessanti e dando il via all'orto botanico veronese per la cui genesi, la vicenda storica e il declino nonché per il notevole e determinante contributo dell'abate si rimanda a Curi. In quel periodo, al cadere del Settecento e al principio dell'Ottocento, ma abbiamo ragione di ritenere che Tommaselli vi fosse stato già in precedenza e vi rimanesse anche in seguito, egli era il preposto del Convento di S. Salvatore in Corte regia: proprio a ridosso della zona che diventò sede dell'orto botanico, luogo dallo stesso indicato come deputato ad accogliere l'esperimento.
Nel medesimo torno di tempo, l'estroverso scienziato si andava occupando pure di alcuni problemi legati all'allevamento; e, partecipando ad un'iniziativa dell'Accademia di Agricoltura veronese, pubblicava un saggio che veniva pure premiato: l'amore per la campagna e per gli animali operanti in essa dettava all'abate sagge e interessanti pagine per rimediare alla epizoosia che aveva mietuto tante vittime tra i bovini. Con regolarità uscivano le sue Osservazioni meteorologiche, piú tardi divenute Osservazioni meteorologiche e mediche con la collaborazione di Gian Verardo Zeviani.
Intanto, in mezzo alla notevole attività sinora brevemente illustrata, Giuseppe Tommaselli si era dedicato pure ai giacimenti fossili dell'area di Bolca, un tema assai caro agli studiosi dell'epoca per i continui ritrovamenti che si venivano facendo e soprattutto dopo che Scipione Maffei e il suo segretario Jean-François Séguier, avevano fatto conoscere agli europei un sito tanto importante. Pubblicato in appendice alla seconda edizione del primo volume del Compendio della Verona illustrata, un ristretto della celebre opera maffeiana, il saggio aveva l'intento dichiarato di servire ad uso specialmente de' viaggiatori naturalisti ed era arricchito di tavole tra le quali non sarà inutile sottolinearne alcune dedicate ai pesci piú noti sino ad allora ritrovati. Il lavoro non si eleva al di là di una buona guida istruttiva seppure per naturalisti e di un breve saggio di ittiologia fossile, ma aveva il pregio di volere trasmettere, forse anche ai non addetti e secondo un linguaggio comprensibile, la conoscenza di un luogo (ma anche di quelli finitimi per sconfinare sino al Lago di Garda) che avrebbe affascinato generazioni.
Sempre indirizzato ad uso de' forestieri fu un altro impegno del Nostro pubblicato sempre in appendice al Compendio sopra detto ma nel secondo volume: una specie di catalogo del Museo veronese ridotto a maggior chiarezza. La collocazione editoriale del catalogo tommaselliano è di per sé illuminante sul carattere e sulle finalità della pubblicazione. Rinunciando a qualsiasi proposito scientifico come dimostra anche l'uso dell'italiano al posto del latino, l'autore - che era stato invitato dal "soprintendente al Museo" Giacomo Verità e che per tale lavoro era stato regolarmente remunerato - si prefiggeva di offrire una guida per il visitatore istruito ma non per questo specialista; d'altro canto, il Tommaselli che era certamente versato in altre scienze, non era dotato delle competenze richieste ad un paleografo-archeologo. Anche quest'opera, comunque, pure considerata tra le sue "minori", sta a significare la versatilità dell'abate la cui mente era dotata di estrema curiosità intellettuale messa a profitto anche quando la disciplina sembrava marginale ai propri specifici interessi.
La relativamente scarsa conoscenza dell'attività del Tommaselli e il lungo oblio cui fu soggetta la sua figura potrebbero, forse, fare adombrare altri interessi ma che allo stato attuale non sembrano conosciuti come pure potrebbe riservare felici sorprese l'attenta lettura della numerosa sua corrispondnza.
Giuseppe Tommaselli morí il 2 dicembre del 1818.
Lasciò, manoscritte, una decina di operette di varia lunghezza: alcune, anche con titolo diverso, furono pubblicate in seguito; le altre giacciono ancora inedite.
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