Carlo Conte - La figura di Carlo Conte è stata ricordata da molti personaggi illustri. Uno di questi era Giovanni Comisso che nel 1956 scriveva su Conte: “La scultura di Carlo Conte ispirata dai valori eterni possiede un linguaggio che supera i limiti del tempo e di ogni frontiera”. Nasce a Moriago il 12 settembre 1898 e fin da piccolo desidera diventare un artista affermato. Da giovine frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Venezia per tre anni, poi a Milano all’Accademia Brera per altri tre. Con lo scoppio del primo conflitto mondiale è arruolato ma poi torna a casa ferito e molto sofferente. Viene per la prima volta scoperto quando vince il premio Principe Umberto. Nel 1946 vince il premio della Quadriennale di Venezia, nel 1946 il premio Naviglio, nel 1950 il premio Ines Fila, nel ’55 il premio Garzanti, nel ’58 ottiene il premio del Comitato Nazionale di Scultura, nel ’64 riceve la Tavolozza Cadorina per la pittura. Espone le sue opere a Milano, Venezia, Roma… e all’estero come a Parigi, New York, Sidney, Orleans, Barcellona. Si trasferisce a Collalto negli ultimi anni della sua vita e muore a Soligo il 14 marzo 1966. In chiesa a Moriago si possono vedere molte opere di questo autore: il crocifisso (a sinistra della porta principale entrando), la deposizione (alla destra della stessa porta), la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre (presso altare di Sant’Antonio), otto formelle in terracotta raffiguranti la vita di Sant’Antonio e i miracoli (lo sposo geloso, la tempesta in mare, risuscita un giovane, risuscita suo nipote, l’anfora ricomposta, il miracolo della mula, la predica ai pesci e la gamba recisa). In canonica c’è il bozzetto in gesso della deposizione e crocifissione e una pittura ad acquerello che fissa l’arrivo dei Re Magi.
Andrea Zanzotto ce lo descrive così nel 1973:
“[…] Carlo Conte è stato una figura per molti aspetti unica, sia come artista, sia come uomo. Coerente al massimo, era incapace di distinguere la propria vita quotidiana da quella ininterrotta estrinsecazione di ritmi fantastici, di impulsi immediati, da cui pure nasce l’attività artistica.
… Non c’era momento di riposo per la sua ricchissima vitalità emozionale; egli era sempre implicato totalmente nel cogliere il pullulare misterioso e radioso, oscuro e inebriante dell’esistenza.
… Carlo soffriva con amorosa ostinazione il trauma - sempre più crudele lungo gli anni - del precario incontro con la bellezza in un mondo minato dal disastro, dall’assurdo. Tentava di affermare le ragioni di questa bellezza, sempre più contestata, mettendosi contro-corrente, rischiando e forse cercando l’isolamento.
Cercava segni, testimonianze, certezze nei volti dei bambini e nella presenza rassicurante della donna, ma anche nei paesaggi, che poi sapeva ricreare con violenta passione cromatica” (da P. Ceccato, Carlo Conte, 1976, pag. 52)
Il Vigorelli scrisse sulla Gazzetta dello Sport del 13 novembre 1973:
“… Carlo Conte, meno noto, fu scultore “ieratico”, padrone assoluto del gesto e dell’atteggiamento, ch’egli fissò in un atteggiamento atemporale. A sette anni dalla scomparsa, l’opera di Conte ha ottenuto testimonianze di stima pari ai meriti, forse tardivamente accertati”.
Da Il Sole 24 Ore (14.11.1973), Everardo Dalla Noce:
“…Milano, comunque, non lo aiuta a vivere. Non riesce, pur conoscendo gli artisti migliori che gli offrono amicizia, a capire la metropoli. Meglio uno scorcio di Piave tutt’altro che ricco, che un Naviglio straniero…
Carlo Conte non lo si incontra tutti i giorni. Alla “Permanente” … incornicia un avvenimento. Mai, si badi, il Veneto fa da comparsa. Né potrebbe farlo un grande come lui.”
Di lui scrissero grandi come Mazzotti, Valeri, Dalla Noce, Comisso e Zanzotto…