Calaone contro i pastori

 

1. Pastori e agricoltori in lotta
Nel novembre del 1767 alcuni abitanti di Calaone, il cui nome era destinato a restare sconosciuto, furono protagonisti di un'azione temeraria che avrebbe trascinato il loro comune in una spinosa e costosa vicenda giudiziaria: con un colpo di mano sequestrarono 73 pecore che stavano pascolando sul monte di Calaone nei beni di Zuanne Lisato chiamati "i Lovatelli". Le pecore appartenevano a Crestan Gheller, un pastore dei Sette Comuni - è questo il termine con il quale si designava l'altipiano di Asiago - che teneva in affitto la posta di pecore di Calaone di cui erano titolari dal 1644 i Widman, una famiglia veneziana che aveva acquisito un cospicuo patrimonio fondiario in quel di Este.immegine
Il fatto si inseriva nel clima di tensione e di scontro, anche violento, che ormai da qualche decennio avvelenava i rapporti tra le comunità di alcuni villaggi ubicati sui versante meridionale dei colli Euganei e i pastori dei Sette Comuni. Questi si avvalevano di un antico istituto giuridico, il pensionatico, per spostarsi dalla montagna nella pianura con le loro greggi. In sostanza beneficiavano di una servitù di pascolo su alcuni territori della pianura vicentina e padovana. Erano però tenuti a installarsi con le loro greggi soltanto su determinati terreni, chiamati poste, che venivano affittate ai pastori non dai proprietari, ma dai titolari del diritto di posta.
Nel secolo XVII le comunità della pianura manifestarono una crescente intolleranza verso la pratica della transumanza: il passaggio e lo stazionamento delle pecore, che spesso sconfinavano nei seminati e nei vigneti, vennero percepiti sempre più come un fatto che minacciava i fragili equilibri agricoli. Il pensionatico cominciò ad essere messo in discussione, anche perché frequentemente i pastori non rispettavano i limiti temporali di permanenza delle greggi nelle poste di pianura e reagivano alla resistenza delle comunità del Padovano con la violenza.
Anche nel versante estense dei colli Euganei i rapporti tra i pastori dell'Altipiano e le comunità locali si fecero tesi. Per tutta la prima metà del Settecento gli uomini di Calaone, Cornoleda e Valle non si stancarono di denunciare alle autorità competenti i frequenti e gravi danni che le pecore arrecavano alle loro colture. Nel 1707, ad esempio, il Comune di Calaone denunciò alle autorità competenti un pastore che nel portare al pascolo pecore, vacche e capre, danneggiava le vigne, gli alberi, i broli, gli orti e i novali. Nella denuncia il comune fece presente che il diritto di pascolo aveva dei limiti: si poteva pascolare soltanto nei beni permessi e soltanto con le pecore "incominciando dal dì di S. Michele sino al dì di S. Giorgio del mese d'aprile, esclusi sempre gl'horti, broli, vigne e retratti prohibiti".
La tensione andò continuamente crescendo, fino a sfociare con una certa frequenza in aggressioni e scontri fisici. Un episodio di tal fatta fu denunciato il 9 maggio 1751 da Giacomo Andreose, degano del Comune di Val di Sotto: alcuni pastori avevano bastonato i fratelli Antonio e Bortolo Bellamio, perché avevano avuto l'ardire di esortare i primi a "parare fuori" da un campo vitato un "chiappo di piegore". D'altro canto, non è che i coltivatori fossero alieni dal ricorso a metodi violenti. Nel luglio del 1734 Pellegrin Boschetto di Val di Sotto ammazzò a forza di botte il giovane Francesco Bovolenta che, portando a pascolare animali bovini, aveva permesso che gli danneggiassero la "chiesura". Il cadavere del giovane fu trovato in località Le Tavole e il degano di Baone denunciò l'omicidio all'autorità competente.
Oltre agli scontri fisici, in qualche caso cruenti, gli sconfinamenti delle pecore e i danni che ne derivavano, veri o presunti che fossero, provocavano continue richieste di risarcimenti da parte dei coltivatori e conseguentemente imponevano l'intervento dei "pubblici stimadori" incaricati di determinare l'entità del danno.
Nel marzo del 1760 a Val di Sotto gli stimatori calcolarono in sette lire e mezza il danno provocato dai pastori in un brolo dove le pecore avevano danneggiato due "calme" (innesti), "una di ceresara e una di armelinaro", due "morari", e inoltre avevano rotto "traversi" di viti piccole e sfondato un tratto della siepe. Quasi cento volte più alto fu il risarcimento fissato nel marzo del 1763 su richiesta del Comune di Calaone per i danni provocati dai pastori della posta Widman di Rivadolmo. In totale il danno fu quantificato in 706 lire, così ripartite: 84 lire per i danni causati a 28 campi prativi, 418 per i danni provocati agli arativi (209 campi), 204 per i danni causati in 130 campi ai "rebuti di olivari" e agli "olivari" stessi.

 

2. La controversia tra Calaone e i Widman
Nell'ambito della lotta di resistenza che gli abitanti di Calaone e più in generale dei colli conducevano contro l'antica consuetudine del pensionatico l'asporto delle pecore del novembre del 1767 rappresentò un salto di qualità, provocato dall'esasperazione a cui la comunità era arrivata. 
Di fronte ad un atto così grave non poteva mancare la reazione sul piano giudiziario da parte di chi ne era stato vittima. A intraprendere le vie legali, però, non fu il pastore Gheller, ma i Widman, cioè i titolari della posta di pecore. Di Gheller i documenti non fanno più parola; ma si è tentati di credere che non sia rimasto estraneo all'aggressione subita da Tomaso Bonato di Calaone al la fine di novembre del 1767. Sulla gravità delle lesioni riportate dal Bonato ci informa il referto stilato da Giacomo Sartori, medico chirurgo di Este, e presentato alla Cancelleria criminale della stessa città il 27 novembre.
"Lo ritrovai in letto maltrattato da diverse bastonate, le quali egli disse aver ricevute da un pastor di Ca' Vidman. Queste bastonate le hanno prodotto varie contusioni, tra le quali ne avea una ben notabile sopra l'osso della spalla sinistra con offesa di detto osso, ed un'altra sopra la testa, la quale sarebbe per lui stata fatale, se con la mano destra non se l'avesse egli riparata". 
I Widman dunque reagirono presentando ricorso ai Cinque Savi alla Mercanzia "per dar fine ad una aggressione che ha del sorprendente". Nel documento datato 4 maggio 1770 avanzarono due richieste: 
1. che fosse salvaguardato il loro possesso del pascolo nel Comune di Calaone senza alcuna restrizione; 
2. che il predetto Comune risarcisse l'affittuale della loro posta per il danno provocato dal sequestro delle pecore. 
Calaone si oppose alle rivendicazioni dei Widman sostenendo che non era suo intendimento mettere in discussione i diritti connessi alla titolarità della posta, ma soltanto la loro ingiusta estensione. Per il Comune l'esercizio del pascolo sul monte era vietato e dunque nessun risarcimento era dovuto dal momento che le pecore sequestrate pascolavano sul monte "in contravvenzione delle leggi". Iniziò così una difficile controversia che avrebbe agitato la vita della povera comunità euganea, obbligandola ad assumersi gravi impegni e caricandola di oneri pesanti.
L'11 novembre 1770 nella chiesa parrocchiale di Calaone si riunì la vicinìa, l'assemblea dei capi famiglia nella quale si trattavano le questioni riguardanti gli interessi comunali. Vi parteciparono 93 capifamiglia, ma 13 di loro abbandonarono la riunione quando, discutendo il primo punto all'ordine del giorno, si decise di procedere all'elezione di due persone che rappresentassero il Comune in tutte le sedi giudiziarie e compissero gli atti per la difesa dello stesso. Dalla votazione uscirono eletti Domenico Anti e Pietro Menegotto. Successivamente, considerando che i due avrebbero dovuto sostenere delle spese, si affrontò anche l'aspetto economico della questione. Dal momento che il Comune non disponeva di "cassa di soldo", la vicinia deliberò, con 49 voti a favore e 19 contrari, che si potesse introdurre "una conveniente tansa sopra li componenti di questo Comune per la somma, che si rendesse necessaria; e ciò per il comun vantaggio".

 

3. Due tesi sull'altezza delle vigne e sulla funzione delle siepi e delle masiere
Il Comune di Calaone presentò la sua linea difensiva in una "scrittura" ai Savi del 22 marzo 1771. Il documento si articolava nei quattro punti seguenti: la maggior parte della superficie di Calaone si trovava in pianura dove c'erano valli e abbondanti pascoli; il monte invece era per la maggior parte coltivato con "vigne basse, fruttati, e olivari, chiusi con siepe e masiere", oppure coperto di boschi "con maronari e castagneri e altri arbori"; le strade e i sentieri ("trozi") del monte erano inutilizzabili per il pascolo: erano "puri sassi incapaci di pascolo"; i beni di Zuanne Lisato, il luogo del sequestro, erano "vignali con fruttari e olivari" chiusi da siepi e masiere. In sostanza - questa le tesi di Calaone - la posta era circoscritta alla zona pianeggiante e non si estendeva sul monte. 
Tutti questi argomenti furono puntualmente contestati dai Widman, che in una loro "scrittura" ai Savi del 9 aprile li definirono inficiati di "erronee introduzioni, equivoci e fallacie". Alle ragioni presentate nel primo ricorso del maggio 1770 i titolari della posta ne aggiunsero altre. In primo luogo, rilevarono che i pascoli della pianura, durante quasi tutto l'inverno, erano soggetti alle acque e quindi non erano utilizzabili. Non era vero, poi, che le vigne del monte fossero basse: erano "eguali di altezza" a quelle del piano, dove le pecore pascolavano senza far danno. immagine
Le strade -continuava la "scrittura" - erano aperte ed erano state sempre percorse dalle greggi senza danno. Inoltre sul monte c'erano 400 campi di bosco nei quali le pecore erano sempre entrate. Infine si osservava che tutti i campi esistenti sui "monti Padoani" erano circondati da siepi e pietre, ma quelle recinzioni non erano state create per fare dei luoghi chiusi quanto per "riparare il fondo dall'acque" oppure indicare "separazioni e confini". Lo comprovava il fatto che la stessa situazione esisteva nelle chiesure e nei campi dei comuni soggetti alle poste nei quali vigeva l'uso del pascolo. 
Il 30 aprile i Cinque Savi alla Mercanzia pronunciarono una sentenza favorevole ai Widman. Il Comune di Calone presentò subito appello alla Quarantia civil nuova, ma per la piccola comunità la sconfitta giudiziaria costituì un colpo durissimo. L'unità del villaggio si incrinò. In una parte degli abitanti si insinuò la convinzione che l'azione giudiziaria, che aveva già richiesto l'esborso di 300 lire, comportasse per il futuro spese insostenibili. Ventotto capifamiglia ricorsero ad un atto notarile per dichiarare la loro ferma in tenzione di "non voler continuare in detta causa", né in altre che avessero promosso i due rappresentanti eletti del comune. Conseguentemente dichiararono che non intendevano sottostare ad alcuna spesa che fosse fatta da allora in poi.

 

4. La soluzione della controversia
Nonostante questa spaccatura, il Comune continuò la battaglia giudiziaria con tutti i mezzi disponibili. In settembre su incarico dei due rappresentanti del Comune due periti si recarono sul monte di Calaone per rilevare le caratteristiche delle viti coltivate. La loro perizia non presenta margini di ambiguità: attesta che le viti del monte erano tutte basse, sostenute da palo morto, molto diverse quindi da quelle del piano, le quali erano "alte, distese e sostenute sopra albori vivi". Gli stessi periti ebbero il compito di censire dettagliatamente i boschi. In totale sul monte c'erano 311 campi e mezzo di boschi, per la maggior parte di roveri e castagni. C'erano anche terre arative, piantate a viti, alberi da frutta e olivi. Le due perizie erano pienamente funzionali alla linea difensiva dei calaonati, in quanto dimostravano che permettere il pascolo sul monte significava causare danni consistenti alle colture.
L'ostinazione dei rappresentanti del Comune di Calaone fu premiata nel febbraio del 1772 quando la Quarantia, con uno "spazzo di taglio", modificò la sentenza emessa dai Savi alla Mercanzia, escludendo "la mal professata estensione nel monte di Calaone della posta di pecore" ed accogliendo la tesi dei calaonati. immagine
A quel punto si prospettò la possibilità di chiudere la vertenza in via amichevole. La soluzione fu individuata nell'assunzione dell'affittanza perpetua della posta da parte del Comune: in questo modo la guerra con i pastori sarebbe finita per sempre. 
La questione richiedeva la convocazione di una vicinia, che questa volta si tenne nel palazzo pretorio di Este 11 luglio 1773. Vi intervennero 81 capifamiglia che a larga maggioranza decisero di dare facoltà ad Anti e Menegotto di stipulare con i Widman il seguente accordo: per un canone annuale di lire 300 il Comune avrebbe ricevuto in affitto perpetuo, con la possibilità di sublocare, la posta delle pecore dei Widman con la clausola che non poteva essere "usata et esercitata in alcuna parte del monte di Calaone, ma solamente nel piano tutto della villa". 
Nella stessa vicinìa, considerato che non era nell'interesse del Comune farsi carico dell'affitto perpetuo della posta e che Domenico Anti era disponibile a riceverla in sublocazione, si deliberò con una maggioranza ancora più larga (71 contro 10) di darla in affitto allo stesso alle medesime condizioni fatte dai Widman al Comune. 
Si chiuse così la difficile vertenza. Per la comunità di Calaone lo scontro giudiziario aveva avuto costi pesanti, ma non era stato sostenuto invano. Qualche tangibile risultato i calaonati lo avevano ottenuto. I pastori della montagna non avrebbero più recato danni ai loro campi coltivati, alle vigne e agli olivi. In altri villaggi dei colli, invece, a Cinto ad esempio, avrebbero continuato a portare ancora le loro greggi al pascolo, ma non per molto tempo. 
La proposta di abolire il pensionatico, che fu presentata per la prima volta al Senato veneto nel 1794, fu ripresa nella prima metà dell'Ottocento sotto la dominazione austriaca e propugnata con calore da autorevoli studiosi, che nei loro testi di mostrarono con serrate argomentazioni l'incompatibilità tra la transumanza e il moderno sfruttamento del suolo. Anche a questo dibattito si dovette l'Ordinanza Imperiale 25 giugno 1856, che pose fine per sempre all'antica consuetudine, stabilendo che il diritto di pensionatico non era più esercitabile dopo l'inverno 1859-60.
Con la fine della transumanza però non venne meno del tutto la presenza degli ovini nell'area euganea. Sopravvisse ancora per qualche tempo l'allevamento delle pecore terriere o stanziali, ma senza prospettive di sviluppo. Se infatti la statistica del 1878 metteva al primo posto tra i comuni dell'estense quello di Baone con 304 pecore, una del 1908 ne registrava 201, che scendevano ad appena 58 nel 1918. E nel 1959, giusto un secolo dopo l'abolizione del pensionatico, il patrimonio ovino, che tanti conflitti aveva innescato in passato, si riduceva ad un'unica pecora.

Note: 
La documentazione sull'asporto delle pecore e sulla controversia che ne seguì tra il Comune di Calone e i Widman è raccolta nella Stampa Comun di Calaon e NN. HH. Assuntori di Giudizio, conservata in BCE, Donazione Franceschetti, III.58.Sta.
Per un inquadramento dei proble milegati alla transumanza dei pastori dei Sette Comuni è assai utile W Panciera, I pastori dell'Altipiano: transumanza e pensionatico, in Storia dell'Al tipiano dei Sette Comuni, Vicenza 1994, pp. 419-445. Si veda inoltre A. Gloria, Leggi sul pensionatico emanate per le Provincie Venete dal 1200 a' dì nostri, Padova 1851. 
La lotta del Comune di Calaone per impedire l'invasione da parte dei pastori inizia nel Medioevo. In propo sito i documenti più antichi risalgono al secolo XV. È del 27 dicembre 1521 una Denunzia contro una persona per aver condotto uno sciamo di pecore sopra il monte o posta di Calaone, in AMCE, Catastico 30. Il fascicolo relativo al processo contro Pellegrin Boschetto è in ASP, Foro criminale. Raspe, b. 22 bis, n. 242. 
La perizia del 2 settembre 1771 sui "Campi di bosco esistenti nel Monte di Calaon" consente di ricostruire con precisione la consistenza e la qualità del patrimonio forestale. Ho classificato i boschi sulla base di otto tipologie. Qui di seguito ne indico la consistenza (numero di campi) per ciscuna tipologia, specificandone l'ubicazione: Castagnare: Contrà della Via Piana 1, C. di Vegrolongo 3 1/2, C. delli Vegri 3, C. di Rugolo 12, C. delle Fontanelle 11, C. delle Narde 15 1/2, C. delle Narde e Crosarazza 10, C. del Bosco grande 2. 
Castagnare e rovere: Contrà di Rugolo 2, C. delle Bresale 2, C. di Salarolo 4, C. di Valesona 5, 2. 
Castagnare con maronari: Contrà della Via Piana 2, C. delle Concole e Pomata, C delle Concole 4, C. delle Narda 4, C. di Valesona 4. 
Castagnare e roveri con maronari: Contrà della Via piana 1, C. di Valeso na 3, C. delle Bertone 3, C. delle Straverte 8, C. della Fratta a piedi del M. Castello 11, C. delle Fratte 16, C. di Murale 4. 
Rovere: Contrà della Pomata 2, C. delli Vegri 1, C. delle Passere 12, C. delle Bresale 6, C. di Valesona 25, C. di Pra di Valle 36 1/2, C. delle Bertoline 4, C. dei Lievori 2, C. delli Creati 1 1/2, C. della Piombà 2. 
Rovere e Castagnare: Contrà della Pomata 2, C. de Cornalai 19 1/2, C. della Narda 11 1/2, C. delle Bresale 4. 
Rovere con in mezzo olivari: Contrà della Via piana 10, C. della Piombà 6 
Castagnare con maronari e olivari: Contrà della Stangà, 12. 
Arativo piantato di vite ed albori fruttiferi ed olivari: Contrà delle Concole e Pomata. Arativo piantato di vite ed albori fruttiferi: Contrà della Stangà, C. della Pomata. 
In totale si trattava di campi 311 e mezzo. Per un numero esiguo (esattamente campi 23 1/2) non è possibile distinguere tra la parte arativa e quella a bosco. 
I dati sulla consistenza del patrimonio ovino del comune di Baone tra Ottocento e Novecento sono ricavati da Statistica agricola, industriale e commerciale della provincia di Padova, Padova 1878 e da I. Michieli, I Colli Euganei. Vicende economiche e sociali, Padova 1965, p. 305. 
torna all'inizio del contenuto