Uno sguardo sull'Ottocento

 

1. Paesi senza centro
Per tutto l'Ottocento l'agricoltura rimase quasi l'unica risorsa di Baone o, per meglio dire, dei tre paesi di Calaone, Baone e Valle. Altre attività produttive di qualche rilievo non si svilupparono; soltanto il lavoro nelle fornaci e nelle cave registrò un qualche incremento nello scorcio del secolo. 
Sulle condizioni dell'agricoltura all'inizio dell'Ottocento sono ricche di informazioni le Nozioni generali territoriali compilate dalla Deputazione comunale nel 1826 nell'ambito dei lavori preparatori del Catasto austriaco. 
"I prodotti più importanti - scrissero i deputati comunali Santo Cavallini, Bortolo Cavallini e Gaspare D'Hanna il 13 agosto 1826 - consistono nel piano in frumento, granoturco, uve, foraggi ed in una qualche quantità di legna da fuoco; nel monte in uve, olive, castagne, frutti in genere delle diverse specie, legna necessaria a sostenere le viti, poca quantità in fine di frumento e di grano turco". 
I cereali prodotti sul monte erano però di "qualità infima". Buona reputazione godevano invece le uve del colle. Trascurabile era la presenza del bestiame. Ne derivava la "scarsezza dei concimi", a cui non era possibile rimediare data "la impotenza dei coltivatori". 
In generale i contadini, compresi quelli che coltivavano i fondi per conto proprio, erano "meschini". Tra le cause delle loro difficoltà si individuavano "il diurno avvilimento dei generi e le intemperie delle stagioni", che da alcuni anni "perennemente" li affliggevano. 
La maggior parte delle case erano costruite "con muraglie di pietre macigne e coperte di coppi". Ma quelle abitate dai semplici operai agricoli non erano altro che "meschinissime capanne smodatamente anguste e deformi", che avevano lo "scheletro di legno" e il "coperto di paglia. Solo i "coltivatori principali" avevano abitazioni "comode ed ampie". 
Al di fuori dell'agricoltura non c'erano possibilità di sussistenza: "Oltre alla coltura delli terreni non si anno costì rami principali d'industria, nei quali occupar si possano i villici". L'artigianato dunque continuò a rappresentare per tutto il secolo una realtà trascurabile, come lo era alla fine del Settecento, quando a Baone le circa 280 persone "industriose" registrate dalle "anagrafi" erano quasi tutte "lavorenti di campagna". Facevano eccezione un negoziante e due artigiani: il "favero" e il "ciavatino". 
L'emblema di questa arretratezza era l'insolita bottega del calzolaio di Baone: se ne stava col suo panchetto nel cavo di una gigantesca quercia - pare che la circonferenza del tronco misurasse ad dirittura 13 metri - che si ergeva nella piazza "solcata, divisa e incavata nel tronco dal tempo e che colle lunghe sue braccia spandeva d'intorno una vastissima ombra ospitale", sotto la quale nei giorni festivi "adunavasi una grossa turba di villici". Minata dal "tarlo della decrepitezza", la pianta fu abbattuta nel 1849: si diceva che avesse trecento anni. 
Così nel 1830 Arrigo Bocchi nel suo libro Alcuni giorni sopra i colli Euganei descrisse la monumentale pianta e gli incontri che si svolgevano sotto i suoi rami: 
"Non lungi dalla chiesa di Baone vedesi un grossissimo albero, il quale dopo tre secoli spande ancora i verdeggianti suoi rami, conforto, e gratissima ombra allo stanco viandante. Intorno a questo ne' giorni festivi con religiosa pompa di patriottismo si radunano i padri della villa, e parlano, ed accennano stonando ai ben vegnenti nepoti gli antichi presepi, gli ovili, dai quali devono ritrarre mercè una saggia prevvidenza il loro sostentamento. O cari innocenti colloqui!" 
Era una piazza, quella di Baone, per modo di dire: si trattava in realtà di un ampio spazio erboso che solo ad est era delimitato da una breve quinta edilizia, in cui spiccava la facciata del palazzo dei nobili padovani Dottori, passato poi ai Venier. Sul lato settentrionale il limite era costituito dalla vecchia chiesa di San Lorenzo e dal palazzo della nobile famiglia De Anna, che però fu distrutto da un incendio intorno al 1850. 
"Era inverno - racconta Francesco Franceschetti nella sua monografia su Baone del 1933 - e si era stesa la biancheria nel granaio e per asciugarla si accese un braciere con riccioli di castagne; uno di essi doveva contenere ancora il frutto, e col calore scoppiò provocando l'incendio che, non avvertito da nessuno, distrusse ogni cosa. Il palazzo aveva due ampie sale, con travature alla sansovina di cipresso e bei pavimenti di battuto veneziano. Rimane ora della bella villeggiatura una delle statue che ornavano il portone d'ingresso e che il popolo indicava col nome di Todaro; sostiene essa, un grande scudo, con lo stemma d'Anna, che è d'oro, a tre melagrane al naturale, aperte di nero e granite di rosso disposte 2 e 1. Oggi adorna la terrazza del Museo Nazionale di Este". immagine
La chiesa parrocchiale, un tempo oratorio privato dei Dottori, non era in buone condizioni ed era ormai incapace di accogliere l'accresciuta popolazione. Il campanile, poi, era così fatiscente che nel 1858 si decise di demolirlo e di innalzarne uno nuovo su disegno dell'architetto estense Giuseppe Riccoboni. Per la costruzione della nuova torre campanaria si utilizzarono materiali provenienti dall'antica chiesa di S. Fidenzio. 
A Riccoboni, che in seguito avrebbe progettato anche il campanile di Calaone, si affidò inoltre l'incarico di redigere un progetto di ampliamento della vecchia parrocchiale, che però non venne realizzato. 
Con un aggregato edilizio ancora più evanescente si presentavano i "centri" di Calaone e Valle. In buona sostanza, si può affermare che, a differenza di paesi limitrofi di analoga dimensione, quali Vo e Lozzo, il capoluogo e le due frazioni di Baone non avevano una vera e propria piazza così come non avevano il mercato, né settimanale né mensile. Soltanto in occasione delle sagre si creava una piazza, sia pure effimera, un luogo di incontro e di scambio. 
Il tratto distintivo dei tre paesi era dunque la dispersione dell'abitato e, data l'orografia dei luoghi e la difficoltà delle comunicazioni, l'isolamento era la condizione propria di tanta parte della popolazione. L'eco dei grandi eventi storici arrivava molto attutita sui pendii collinari. Certo, quando lo scossone era particolarmente forte, se ne avvertiva l'onda d'urto, ma soltanto per un breve istante. Poi tutto sprofondava di nuovo nel silenzio e nell'immobilità. 
Così avvenne anche all'indomani della rivoluzione del 1848, quando nel Veneto immaginemeridionale dilagò il brigantaggio, seminando il panico tra i possidenti e inducendo gli austriaci ad attuare una spietata repressione per mezzo della famosa Commissione militare di Este. I dati relativi all'azione svolta tra il 1850 e il 1854 da questo Tribunale speciale, noto anche come Giudizio Statario, parlano da soli: più di mille processati, 414 fucilati, 781 condannati a lunghi periodi di lavori forzati. Questi tragici avvenimenti coinvolsero prevalentemente la bassa pianura, ma investirono anche i versanti meridionali dei colli Euganei. Di un episodio di brigantaggio avvenuto a Valle San Giorgio nel 1849 ci fornisce un resoconto dettagliato la Sentenza emessa dalla Commissione di Este il 12 agosto 1850 ed eseguita lo stesso giorno a Monselice "in mancanza di carnefice - recita l'avviso a stampa - mediante polvere e piombo". Cinque furono i banditi fucilati, altri ebbero commutata la pena di morte in 20 anni di carcere duro. Erano accusati di essere penetrati la sera del 20 ottobre 1849 nella casa di Giovanni Rossato detto Gnao a Valle S. Giorgio, di averlo raggiunto nella camera da letto e, dopo aver picchiato lui e la moglie, avergli intimato di consegnare il denaro. Terrorizzato dai malviventi, Rossato confessò che il denaro era nascosto "in un mucchio di fagiuoli ch'erano sul pavimento della sua stanza da letto". Impossessatisi delle monete, i banditi condussero Rossato al piano terra, dove "fu preso da uno per le gambe, e da un altro per le braccia e disteso sul focolare, e acceso il fuoco venne minacciato di esser abbrustolito se non manifestava, ove aveva l'altro denaro. Li scongiurò di lasciarlo in libertà, e gli ordinarono di ritornare al piano superiore, il che fece". Subito dopo i banditi lasciarono la casa portando con sé monete d'oro, biancheria, rami ed altri effetti per un valore complessivo di lire austriache 853. 
Da un'altra Sentenza, che fu eseguita in Este il 18 giugno 1850, si viene a sapere che tre abitanti di Calaone, tutti campagnoli di circa trent'anni, furono condannati a morte per una rapina compiuta a Boccon, ma poi ebbero la pena commutata in 20 anni di carcere duro perché il reato per cui erano stati processati era il loro primo delitto. Non sfuggì invece alla fucilazione, anche questa eseguita in Este il giorno dopo, un abitante di Valle di 46 anni, padre di sei figli "indicato di sfavorevole fama", accusato per una rapina avvenuta a Trecanne di Vighizzolo. 
Non è mai stata effettuata un'indagine statistica sul destino toccato ai briganti immaginefiniti in carcere, ma ci sono buoni motivi per ritenere che non sia stato generoso. Il Libro dei Morti della parrocchia di Calaone ci informa che due di essi morirono nella Casa di Forza di Padova: uno a 32 anni dopo 85 giorni di "direa", un altro a 38 anni "per scorbuto, polmonia, poi paraplegia". Dal che si deduce che le condizioni di vita dei carcerati non dovevano essere invidiabili. 
Il parroco che registrò i due decessi si chiamava Antonio Testolin. Era diventato titolare del beneficio parrocchiale nel 1841 e lo tenne fino al 1864, l'anno della morte. Nel piccolo borgo collinare don Testolin svolse un ruolo particolarmente incisivo che andò ben al di là del ministero pastorale. Si dedicò infatti all'istruzione dei contadini nelle tecniche agrarie, tanto che nel 1850 fu premiato dalla Società di Incoraggiamento di Padova con una medaglia d'oro di austriache lire 150 "per eccitamenti agrari dati ai villici". 
Alla sua morte Giacomo Gattolin, un prolifico poeta autodidatta, i cui versi dalla sintassi traballante e dalla metrica incerta sono rimasti inediti, gli dedicò una lunga poesia, in cui si rende omaggio all'impegno profuso dal parroco in campo sociale:

E poi fuora della chiesa /fece sempre qualche spesa / e prima il campanile / e poi la scuola femminile / e per ben caminare / le strade fece fa re. ... Quan do la fame tormentava / in canonica i menava un grosso polenton /per li poveri di Calaon... Insegnava insin a calmare / e i campi a governare / e in cesa che ghe sia / la parsimonia e economia.

Ai versi segue questa annotazione: "Don Antonio Testolin Parroco di Calaon doppo 23 anni di regime morì li 31 maggio 1864. Solenni furono le sue esequie e onorate da tutti ma più assai dalle lacrime e benedizioni de sacerdoti da esso fatti educare e di tanti poveri diffesi consolati nutriti tutti che dimostravano aver Calaon perduto un insigne ornamento".

 

2. Dopo l'annessione 
Il passaggio del Veneto dalla dominazione austriaca al Regno d'Italia (1866) non portò mutamenti significativi alle condizioni di vita degli abitanti delle campagne. L'Inchiesta agraria decisa dal Parlamento nel 1877 e condotta da Stefano Jacini mise a nudo l'arretratezza e la miseria in cui versava tanta parte del mondo rurale. Per farsene un'idea, basterebbe citare i dati sulla diffusione della pellagra, una malattia causata dalla denutrizione e dalla mancanza della proteina PP. Ebbene, l'inchiesta agraria registrò a Baone la presenza di 160 pellagrosi, un numero che è tra i più elevati nei comuni del distretto di Este. immagine
Non meno preoccupante era il bassissimo livello di istruzione. Cinque anni dopo l'annessione (1871) coloro che sapevano leggere e scrivere ammontavano a poco più del 20 per cento, precisamente a 542 su 2.432, che salirono al 30 per cento nel 1876. Una statistica del 1878 dà per funzionanti tre scuole maschili e tre scuole femminili con 180 alunni. Rispetto all'epoca austriaca la situazione non era mutata di molto. D'altra parte un piccolo comune rurale, qual era Baone, non aveva molte risorse da destinare all'istruzione: la spesa annua era di lire 1,47 per abitante, quando a Este era di 3,64. 
Con l'approvazione della legge Coppino (1877), che introdusse l'obbligo della frequenza di almeno due anni di scuola elementare, si posero le premesse per un significativo innalzamento del livello di alfabetizzazione. Ma non era facile dare attuazione ad una legge che attribuiva ai Comuni gli oneri dell'istruzione, compresi quelli relativi alla costruzione degli edifici scolastici. Per Baone si trattò di oneri particolarmente pesanti, perché tre erano le frazioni che dovevano essere dotate di strutture scolastiche, senza contare altri nuclei abitati quali Rivadolmo e Casette. A Calaone, per esempio, l'edificio scolastico, che comprendeva anche l'abitazione dei maestri, fu inaugurato nell'aprile del 1884. Lo aveva progettato Giuseppe Riccoboni, che "seppe - scrisse il quotidiano "Il Bacchiglione" del 22 aprile 1884 - risponder a tutte le possibili esigenze, associando eleganza, semplicità, buon gusto e ottemperando all'igiene e alla luce, a tutti i precetti igienici in siffatto genere di costruzione".
L'edificio scolastico di Valle S. Giorgio fu innalzato soltanto nel 1902. Per avere la scuola elementare Rivadolmo dovrà attendere fino al 1915, Casette fino al 1923. Se i parametri relativi all'istruzione e alle condizioni sanitarie erano sostanzialmente simili o vicini a quelli degli altri Comuni del distretto di Este, c'era però un dato che distingueva Baone: una presenza particolarmente elevata della piccola proprietà contadina. Per la già citata statistica del 1878 i contadini proprietari del terreno che lavoravano erano pochissimi a Lozzo, il 7% a S. Elena d'Este, il 50% a Cinto, l'70 % a Vo, ma raggiungevano ben l'80 per cento a Baone. Era un vero e proprio primato. Certo anche a Baone c'erano grosse proprietà: nel 1861 i Sartori Borotto possedevano 2.118 pertiche di terra (una pertica equivale a 1.000 mq), i fratelli Venier 1.525, i Boldù Dolfin 688. Ma su un totale di 23.388 pertiche le ditte censite risultavano ben 930, mentre il limitrofo Comune di Lozzo, che aveva all'incirca la stessa superficie, contava appena 159 ditte e quello di Vo con una superficie di poco inferiore (19.532 pertiche) arrivava a 431, meno di metà delle ditte di Baone. 
La maggior parte della superficie agraria era destinata ai seminativi: sui circa 2.400 ettari della superficie comunale almeno 1.500 erano occupati dall'aratorio e dall'aratorio arborato e vitato. Nel 20 per cento circa della superficie non coltivabile 40 ettari erano ancora rappresentati da "palude e valle". Per questo motivo agli inizi degli anni settanta era ancora attiva una macchina idrovora costruita a spese di Antonio Ventura, un facoltoso possidente di Este. Nel 1872 funzionava per mezzo di tre cavalli che si cambiavano ogni due ore. Successivamente vi si applicò una locomobile della forza di otto cavalli vapore. La ruota aveva un diametro di m. 4,20, mentre le pale erano larghe m. 0,27. 
La coltura più diffusa era il mais con una produzione di 16.590 ettolitri, seguito dall'avena con 1.700 ettolitri e, a molta distanza, dal frumento (800 ettolitri) e dalla segala (100 ettolitri). 
Un ruolo di primo piano nell'agricoltura era ricoperto dalla coltivazione della vite, sia in coltura promiscua che nella forma del vigneto specializzato. Una statistica del 1873 assegnava a Baone 650 ettari di vigneto, più del doppio rispetto a Vo, che risultava averne solo 300; sarebbe però azzardato considerarlo tutto o in prevalenza vigneto specializzato. Baone figurava al primo posto per la produzione di vino tra tutti i comuni del distretto di Este: con 1.780 ettolitri precedeva nettamente Vo, che si fermava a 1.129, ma anche Piacenza che raggiungeva 1.425 ettolitri, piazzandosi al secondo posto. Baone deteneva il primato anche nella produzione di "frutti in sorte" (la statistica non è esplicita in proposito, ma certamente include le ciliegie) con 48.000 chilogrammi. Si collocava però soltanto al terzo posto nella produzione delle castagne con 6.720 chili nettamente superati dai 16.800 di Vo e dai 10.080 di Cinto: un dato che sorprende se si considera la fama di cui godevano i castagni di Calaone che davano - è lo storico padovano Andrea Gloria a dirlo - "frutti preferiti per grossezza e per gusto". 
Presentava una discreta rilevanza nell'economia della famiglia contadina l'allevamento del baco da seta. In questo settore con la produzione di 1.215 chilogrammi di bozzoli Baone si collocava al secondo posto dopo Villa Estense, ma precedeva nettamente il limitrofo comune di Lozzo, che, pur avendo una filanda nel suo territorio, ne produceva solamente 560 chili. 
Non aveva grandissimo rilievo nell'economia locale la coltivazione dell'olivo, che pure aveva una tradizione antichissima e che era resa possibile dall'esposizione a mezzogiorno di molti pendii collinari: appena 4 erano gli ettari interessati a fronte dei 150 ettari del limitrofo comune di Arquà, dove erano in funzione ben tre pestrini, frantoi per le olive. L'allevamento non rappresentava una risorsa di particolare rilievo. Il patrimonio zootecnico era relativamente esiguo, fatta eccezione per i bovini, quasi 500, che venivano in buona parte utilizzati per la lavorazione dei campi. Trascurabile il numero dei cavalli, appena 30, tanti quanti erano gli asini. Più consistente la presenza degli ovini, con oltre trecento pecore e una ventina di capre, ma si trattava di un'eredità del passato, destinata ad una rapida scomparsa.

 

3. Osterie e risse 
Molto elevata, come si è già detto, era la dispersione dell'abitato: superava l'80 per cento della popolazione. Una statistica del 1879 qualificava come popolazione urbana solo 57 abitanti su 2.807. Questa condizione resterà stabile fino agli anni Trenta del Novecento, quando la popolazione sparsa comincerà a scendere lentamente al di sotto del 70 per cento. 
In siffatta realtà sociale risultò pressoché impossibile la penetrazione di idee socialiste. La sezione dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori nata nel 1876 nella vicina Monselice non riuscì a far proseliti tra i contadini di Baone. Il solesinese Antonio Pasini, che di quel gruppo fu militante e propagandista, non ebbe vita lunga come maestro elementare a Valle S. Giorgio: fu licenziato come "incorreggibile ubriacone". immagine
"Nella scuola - scrisse nel 1876 il parroco don Tescari - il docente è il sig. Pasini Antonio di Solesino, il quale benché di una condotta non soddisfacente, spiega bene la Dottrina Cristiana tre volte per settimana". 
I propagandisti dell'idea socialista, che nel 1885 diffusero nelle campagne della Bassa il Decalogo dei contadini socialisti mantovani assieme ad altri opuscoli e perciò finirono sotto processo a Este, non ebbero fortuna a Baone. Nessuno volle comprare il Decalogo. A qualche contadino fu regalato e qualche copia fu lasciata nelle osterie. Ma il parroco di Baone, informato dal segretario comunale, si affrettò a fare il giro del paese affinché i foglietti non andassero in mano ai parrocchiani. "Ghe è passai par de là i framassoni", commentò, con distacco, la gente del luogo. 
Peraltro, nel gennaio 1886 il quotidiano padovano "Il Bacchiglione" diede, sia pure in forma dubitativa, la notizia di gravi disordini in località Moschine nella proprietà Ventura, attribuendone la causa al comportamento "troppo fiscale" del proprietario che trattava "i suoi coloni come tante mandre". 
La debolezza della "sinistra" trovò conferma nei risultati delle elezioni politiche del 1890: i candidati progressisti Lazzarini e Aggio ottennero rispettivamente 10 e 7 voti a fronte dei 46, 47 e 43 ottenuti dai candidati della destra Romanin, Chinaglia, Tenani. Si tenga presente che su 121 iscritti soltanto 54 si recarono alle urne. 
I parroci erano ben consapevoli che più che dal socialismo la minaccia all'ordine morale della società proveniva dall'abuso del vino e dall'osteria. Scriveva l'arciprete Tescari nel 1876: "Serpeggia nella popolazione l'esecrabile vizio dell'ubriachezza, della bestemmia e delle risse... Nei giorni di festa non sempre si tengon chiuse le osterie, ad onta di tanto replicate raccomandazioni". Anche il parroco di Baone denunciava "l'abuso di vino e liquori" che erano all'origine di "qualche rissa e di rado qualche ferimento". 
Era appunto questo il motivo per cui già nel 1831 il parroco di Valle San Giorgio aveva chiesto al Vescovo di sospendere tutte le funzioni pomeridiane nell'oratorio di S. Biagio, perché "verso il terminar del giorno succedono degli inconvenienti, d'ubriachezza, feste da ballo (secondo il costume contadinesco dove intervengono ogni sorta di gente e con iscandalo), risse e bestemmie". Il provvedimento fu prontamente adottato, ma il fenomeno che allarmava i parroci non poteva essere sradicato in quel modo. Messo momentaneamente sotto controllo a Val di sopra, il problema si ripresentava altrove. 
Lo comprova il tragico fatto di sangue avvenuto a Baone alla fine di gennaio del 1894. Per la sua efferatezza l'episodio, le cui cause erano imputabili tanto all'abuso del vino quanto ad antiche rivalità paesane, ebbe una larga eco sulla stampa. Ecco come lo ricostruì un quotidiano padovano in una corrispondenza da Baone: "Alcuni contadini di Arquà Petrarca erano quivi venuti per festeggiare la domenica, e nell'unica osteria del paese avevano bevuto parecchio. Venuti a diverbio poscia con altri contadini del luogo, alticci anch'essi dal vino, non si sa ancora per qual ragione, s'accese una rissa che doveva riuscire funesta. Forse alla mente dei rissanti, esaltata dai fumi del vino, non apparve il possibile esito di questa lotta, e solo dopo, si può dir, violenta battaglia, si conobbero in tutto il loro orrore le sanguinose conseguenze.
Turato Antonio d'anni 23 da Baone aveva il ventre attraversato da una profondissima ferita di coltello, donde uscivano gli intestini, e, raccolto e curato immediatamente, riuscì vano qualsiasi mezzo e spirò stamane alle 7. Cappelleto Luigi d'anni 21, pure di Baone, aveva la schiena attraversata da gravissimo taglio di coltello che partendo dalla spalla sinistra, terminava al fianco destro, grave tanto da far temere della sua guarigione". 
Due autori dell'omicidio - uno aveva 25 anni - furono subito arrestati, altri, fra cui un ragazzo di 15 anni, riuscirono a sottrarsi alla cattura per qualche giorno. Pur in presenza di tali comportamenti sociali, i parroci si mostravano sostanzialmente soddisfatti della condotta del popolo, che partecipava alla vita religiosa soddisfacendo in massima parte i precetti della Chiesa. Pochissimi erano gli inconfessi, vale a dire coloro che non rispettavano il precetto pasquale. Nel 1887 erano 35 a Baone su 815 anime di comunione, 30 a Calaone su 687 anime, 4 a Valle su 230 anime. 
Scandali e disordini erano rari. Ciò che ostacolava la frequenza alla chiesa era più che altro la natura dei luoghi. 
In occasione della visita pastorale del 1888 il parroco di Calaone lamentò che la chiesa era "fuori di centro, su un altopiano, assai lontana dalle famiglie con istrade ripidissime, per cui non vi è concorso, forse incolpevole, che in certe straordinarie solennità, ed il pastore non può fare quel bene che vorrebbe, ed avere la consolazione di vedere riunito il suo amato gregge". 
L'arciprete di Valle fece presente che "la natura" della parrocchia era "assai disastrosa essendo le case fabbricate sparse qua o colà o sopra poggi, o colline faticosissime per mancanza di strade". 
Il parroco di Baone invece attribuì la scarsa partecipazione degli uomini alla messa al fatto che nelle domeniche e nelle feste alcuni padroni abitanti in Este o Monselice obbligavano "i dipendenti a riscuotere le loro mercedi della settimana alla propria abitazione". Il medesimo parroco si mostrava preoccupato perché in paese c'erano alcuni che avevano "trasporto per il ballo" e nei giorni di sagra e nelle feste di carnevale avrebbero voluto "impiantar festino nel mezzo della piazza". 
Naturalmente dichiarò di aver sempre ostacolato tali progetti come pure "qualche festino in casa privata o in qualche corticella e di notte". 
Negli ultimi decenni dell'Ottocento, dunque, i parroci continuavano a muoversi in un'ottica difensiva. La loro azione economica e sociale a favore degli strati più poveri della popolazione non andava molto al di là della beneficenza. Le cose però cambieranno radicalmente all'inizio del nuovo secolo, soprattutto nel momento in cui la diocesi di Padova passerà dalle mani del vescovo Giuseppe Callegari a quella del vescovo Luigi Pellizzo (1907 - 1922), che imprimerà al movimento cattolico padovano un'impronta marcatamente sociale.

 

Note: 
Le Nozioni generali territoriali, da cui ho desunto il quadro delle condizioni dell'agricoltura agli inizi dell'Ottocento, sono conservate in ASV, Censo Provvisorio. Atti Preparatori, B. 42, Comune di Baone. 
Qualche informazione sugli aspetti economici e sociali di Baone alla fine del XVIII secolo ho ricavato da C. Temporin, Movimento demografico a Baone nel XVIII secolo, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno acc. 1990-91. 
La bottega del ciabattino di Baone è descritta in Piero Zorzi, Cecilia di Baone ossia La Marca Trevigiana al finire del Medio Evo, Venezia 1852, p. 142 (la prima edizione è del 1829). Da una nota dell'ing. Domenico Fadinelli si viene a sapere che fu abbattuta nel 1849. Lo stesso ingegnere donò al Gabinetto di Lettura di Este un acquarello che raffigurava la "quercia gigantesca, già esistente sulla piazza di Baone, nel cavo della quale aveva ricovero un ciabattino col suo panchetto". (‘La Gazzetta di Venezia" dell'11 gennaio 1893). La descrizione della quercia è tratta da Frammenti storici sui Colli Euganei. Baone, Este, Longo, 1870, pubblicato per le nozze Prina Blaas. Se ne veda un'altra in A. Bocchi, Alcuni giorni ai Colli Euganei, Venezia 1830. 
Per il brigantaggio si veda P. Ginsborg, Dopo la rivoluzione. Banditi nella Pianura Padana 18481854, "Terra d'Este", I n.2 (luglio-dicembre 1991), La sentenza relativa all'aggressione a Rossato è conservata in GLE, Raccolta Estense, Ci. III, b.B. 
Per i banditi morti in carcere cfr. APC, Liber mortuorum ah anno 1813 usque ad annum 1904, in data 11.12.1851 e 28.5.1852. 
Su A. Testolin si veda "Gazzetta Uffiziale di Venezia", n. 138 del 17 giugno 1850. Le poesie di Giacomo Gattolin sono raccolte in tre fascicoli conservati in BCE, Donazione Franceschetti, Jacobus de Gattolinis, Poesie. Nel fasc. II si trova la Composizione per il Sig. Don Antonio Testolin Parroco di Calaon decesso li 31 maggio 1864.
I dati sui pellagrosi sono tratti da atti della Giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, voi. IV, fasc. I, Le condizioni dei contadini nel Veneto, Roma 1882; quelli sull'istruzione e sulla proprietà sono tratti da Statistica agricola industriale e commerciale della provincia di Padova, Padova 1878. Ho ricavato alcuni dati statistici dal Prospetto indicante il numero delle ditte censite, la popolazione, la superficie e la rendita censuaria in ogni comune pubblicato in A. Gloria, Il territorio padovano illustrato, Padova 1862, doc. IX. Altri dati, in particolare quelli relativi alla quantità della produzione agricola, sono ricavati da Statistica agraria della Provincia di Padova e bonificazioni, Padova 1867, si vedano le tavole Il (Grani e legumi), IV (Vini), V (Filugelli), VI (Frutti e legna), VII (Allevamento). Si veda anche A. Lazzarini, Contadini e agricoltura. L'inchiesta Jacini nel Veneto, Milano 1983, pp. 75 - 167. 
Sulla impermeabilità di Baone al socialismo cfr. T. Meriin, Gli anarchici, la piazza e la campagna, p. 91 e 203. Il profilo di Antonio Pasini è tracciato in E Selmin, Il poeta vagabondo. La vita e l'opera di Antonio Pasini da Solesino, Verona 1995. La notizia sui "disordini" del 1886 è tratta da Disordini, "Il Bacchiglione", 10 gennaio 1886. Per le elezioni del 1890 si veda il periodico estense "Il Venda" 31. 29.11.90. Per la denuncia della diffusione del l'alcolismo da parte dell'arciprete di Valle e per il divieto di celebrare funzioni all'oratorio di S. Biagio si veda ACV, Visitationes, CXX, rispettivamen te c. 393 e c. 500. 
Sui disordini a S. Biagio si veda anche la visita pastorale di Modesto Farina nella Diocesi di Padova (18221 832), a cura di P. Pampaloni, Roma 1977. 
Sul delitto del 1894 si veda Omicidio e grave ferimento a Baone, "Il Comune" 30 gennaio 1894 e Il grave fatto di Baone, "L'Adriatico", 30 gennaio 1894. 
Le citazioni dei parroci riportate alla fine del capitolo sono tratte da Le visite pastorali di Giuseppe Callegari nella diocesi di Padova (1884 - 1888/1893 - 1905), a cura di E Agostini, Roma 1986.
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