Fontana Prossima (Dònega)

 

Proseguendo quindi in discesa arriviamo alla parrocchiale di Valle San Giorgio, sotto la quale si apre l'entrata alla villa Mantua-Benavides, che ospita nei bei locali restaurati il Centro di Documentazione Ambientale.

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Dopo la doverosa visita alla villa e alle sue mostre, imbocchiamo via Donna Daria, stradella pedonale che a lato della villa scende rapidamente sulla Provinciale di via Prossima, presso le vecchie scuole elementari.
Proprio difronte al parco delle scuole, nascosta sotto la scarpata della strada, a lato dell'inizio di via Giaretta, che entra nella luminosa vallata delle Vaesèe, troviamo la vecchia Fontana Dònega ora, dal nome della via, detta 
Fontana Prossima. immagineL'Olivieri, nei suoi studi di toponomastica, fa derivare il nome Dònega dalla classe dei nomi legati al termine domnicus, con riferimento a possedimenti "del padrone, del signore". Interessante ricordare che tradizionalmente questa zona in passato era la Valle di Donna Daria.
I muri che chiudono la cisterna incassata nella scarpata sono stati elevati ed aggiunta una leggera ringhiera e due panche in modo da definire uno spazio di sosta a lato della strada. Sotto, il prospetto principale, rifinito con intonaco di tipo coccio pesto, presenta una bella pompa a mano che versa l'acqua su una vaschetta in "masegna". Un setto in blocchi di trachite nasconde alcuni impianti tecnologici. Una panca in pietra d'Istria, sistemata a ridosso del muretto antistante la pompa, e la pavimentazione in rustici "copacani" completano l'arredamento e definiscono lo spazio.
Riprendiamo la marcia passando sotto il vecchio brolo di villa Mantua Benavides. Costeggiando il campo sportivo arriviamo alla curva sul ponticello dove la fossa Rossana, unitasi al Fossòn, entra in quello che rimane del bacino che un tempo fu il "gorgo" del mulino.
Tra gli alti pioppi, sotto l'argine del Rio Giara, si vedono i resti dello storico mulino ad acqua, provvisto di una grande ruota che muoveva tre macine: due per farina bianca, l'altra per farina gialla. Un piccolo edificio attiguo ospitava un frantoio per le olive. L'acqua motrice era accumulata nel "gorgo" che in origine era lungo oltre 100 metri, largo 6-7 metri e profondo circa tre, e aveva una forma grossomodo a "S".immagine
Il mulino raggiunse la sua definitiva struttura nell'Ottocento, ma già nel XVI secolo su una mappa della zona è presente il "Rio del Molìn". Terminò l'attività nei primi anni Sessanta. Da tempo vi sono progetti per il restauro dell'interessante struttura.
Ritorniamo così all'incrocio per Arquà e Baone e risaliamo i tornanti del Passo delle Croci.
Volendo, dal Passo si può scendere alla piazza di Baone, chiudendo un primo anello dopo aver percorso circa 13 chilometri.
Per continuare il percorso principale, alla sommità del Passo delle Croci svoltiamo a destra e iniziamo via Vallesana, arrivando in breve all'inizio del crinale calcareo. Attenzione: sul ripiano erboso che guarda verso ponente, a maggio si possono scoprire i poco vistosi corimbi gialli della Ruta patavina (Haplophyllum patavinum), che in quest'areola, alla base del versante nord-orientale del monte Cero, ha una delle sue poche stazioni.
La piaimmaginentina, d'origine steppica, è da considerarsi preziosissima in quanto al di fuori della zona del Sassonegro e del monte Cecilia è praticamente assente dal resto dei colli Euganei e nel territorio nazionale. Essa perciò fa parte di quella ristretta schiera di specie botaniche rarissime che godono della massima considerazione da parte dei naturalisti. Fuori dall'Italia vive nelle zone aride e montuose della Dalmazia con centri isolati in Montenegro, Albania, Slovenia, Istria e Carso. L'areale di Baone è considerato l'ultimo relitto di un vasto areale continuo esteso in passato dall'Albania al Veneto.

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