Villa Mantua Benavides (Valle San Giorgio)

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Chi erano i Mantua Benavides? 
Perché questa stupenda Villa a Valle S. Giorgio? 
Qual è la storia di Villa Mantua Benavides?

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Rispondendo brevemente a queste domande cerchiamo di fornire al Turista una cornice storica nella quale inquadrare la testimonianza architettonica che sta visitando. Inoltre, ricordando e riaffermando la forte relazione, non solo paesaggistica, tra la Villa e il paese di Valle S. Giorgio, vogliamo discretamente invitare il visitatore che da lontano scorge Villa Mantua Benavides e dalla Villa percorre con lo sguardo gli spazi della valle, a cogliere la bellezza del luogo e le sue suggestioni. Ringraziamo quanti hanno contribuito al restauro (Comunità Europea, Stato, Regione) e tutte le persone, amministratori - tecnici funzionari semplici cittadini, che hanno reso possibile con il loro impegno questo risultato.

 

 

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immagineMarco Mantua Benavides (1489-1582) traeva origine da famiglia spagnola trasferitasi a Mantova (da cui prese il nome "Mantua") poi a Padova dove fu iscritta tra le famiglie più nobili e più ricche nella mercatura della lana. Marco ne è il personaggio più illustre. Infatti nella chiesa degli Eremitani in Padova si ammira il grandioso mausoleo che egli stesso, ancora vivente, si fece costruire nel 1546. L' epigrafe posta sulla tomba e i molti elogi scritti su di lui lo celebrano giureconsulto tra i più illustri del suo tempo, letterato ed umanista coltissimo, e uomo tra i più eminenti e prestigiosi della nobiltà padovana del '5OO. 
La lettura della novella "L'Heremita" di Marco Mantua Benavides, pubblicata nel 1521, ci porta nel cuore dei Colli Euganei dove egli possedeva una "abbondevole e fruttifera vignetta" con casa rustica. Egli la descrive come "desiato luogo" per serenità e bellezza per riposarsi dalle gravose fatiche dell'insegnamento nell'Università. Su questo rustico posto su un terrapieno addossato alla strada che porta alla chiesa di Valle San Giorgio, gli storici veneti, Brunelli e Callegari, sostengono che gli eredi dei Mantova, verso la fine del '500 abbiano voluto progettare ed erigere la loro villa sui Colli, degna del loro illustre casato.immagine
I Mantua Benavides villeggiarono nella loro Villa nei secoli XVII e XVIII disponibile per il loro casato e per gli ospiti che vi ricevevano generosa accoglienza. Ivi trovarono alloggio i vescovi in visita alla parrocchia con il loro seguito: nel 1747 il Cardinale Rezzonico (poi Papa Clemente XIII) e il Vescovo Giustiniani che, estintasi nel 1762 la casa dei Mantua, ottenne in affitto la Villa come casa canonica. Da allora le sorti della Villa si legarono per sempre alla Parrocchia.
Ai primi dell'800, dopo varie peripezie, il Comune di Baone acquistò Villa Mantua Benavides.
Perduta la sua nobile ed aristocratica destinazione, la Villa subì l'inevitabile degrado causato sia dal tempo che dal lungo uso pubblico a cui era stata adibita. Fu redatto un progetto nel 1941 senza esito. Nel 1964 con mezzi dell'Ente Ville Venete venne attuata una sistemazione e revisione del piano nobile dando alla Villa un po' di quel lustro che aveva perduto per il tempo e l'incuria.
Nel 1994 con fondi finalizzati della Comunità Europea, dello Stato Italiano e del Comune di Baone iniziò il restauro, completato nel 1996.


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VimmagineALLE SAN GIORGIO 
Parte a valle e parte in altura, è circondata da una chiostra di monti e si annuncia alla vista da lontano.
Vi si segnalano le due parrocchiali di S. Biagio e di S. Giorgio.
Quest'ultima conserva sull'altare maggiore un dipinto degli inizi del 1600 raffigurante San Giorgio e il drago.
Murati nella parete sud della stessa si possono vedere i resti di un sepolcro di età romana. Poco sotto, lungo la stessa via, si trova Villa Mantua Benavides.

QUESTO PROGETTO E' STATO COFINANZIATO DALLA COMUNITA' EUROPEA Fondo per lo Sviluppo Regionale.

 


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APPROFONDIMENTI

 

Vicende di un rustico del sec. XV trasformato in elegante casa dominicale sul finire del sec. XVII. Dopo aver ospitato i vescovi di Padova Rezzonico e Giustiniani, e il veneziano Giacomo Casanova, è stato riaperto al pubblico dal Comune di Baone, grazie ai restauri finanziati dalla Comunità europea.

Altra deliziosa passeggiata è quella che guida da Baone a Valle San Giorgio, ove sorgono i villaggi di Val di Sopra Madonna Daria in piano e Val di Sotto Madonna Daria in monte. Ascendi per una strada scavata nel sasso, ed alla cima si veggono distendersi a guisa d'anfiteatro i colli Lozzo, Cinto, Gemola, Rusta, Venda, Fasolo, Galzignan, Valsanzibio e i due Arquà grande e piccolo". Sulla scorta di notizie fornite dal sindaco di Baone, così un geografo presentava ai suoi lettori, all'indomani dell'Unità d'Italia, il piccolo abitato di Valle San Giorgio, aperto sull'ampia lingua valliva bonificata nel corso del XVII secolo che dalle pendici dei colli d'Arquà termina sulla riva sinistra del Bisato. Il nome attribuito alla località è d'origine recente, essendo nato dalla fusione di Valle con il santo dell'omonima parrocchiale, il cui edificio sacro fa da quinta, scenografica e storica, alla nobile dimora che qui ci proponiamo d'illustrare brevemente: Villa Mantua Benavides. Sorvolando sulle ragioni che la tradizione porta per spiegare la suddivisione dell'abitato di collina (Valle dell'Abate), da quello di pianura (Valle di Donna Daria), va comunque ricordato che l'area fu per secoli soggetta al monastero, con il suo abate, della Vangadizza (Badia Polesine) e alla famiglia da Baone a cui va ricondotta quella donna Daria, figlia di Alberto da Baone, divenuta eroica figura femminile per aver sfidato nel 1250 la ferocia omicida di Ezzelino da Romano, raccogliendo coraggiosamente le spoglie massacrate di un congiunto, Guglielmo da Camposampiero, per deporle nel sepolcro di piazza del Santo. 
La storia di villa Mantua Benavides affonda le proprie radici nel XV secolo, epoca in cui nella zona collinare di Valle troviamo, accanto a numerosi, frammentari, fazzoletti di terra detenuti dai residenti, l'attiva presenza di potenti famiglie padovane. È il caso dei Buzzaeanini, rappresentati da quell'Archuan (o Arcoano) che, morto nel 1486, all'atto di dettare il proprio testamento nel 1476 destinò al figlio Daniele la possessione con la decima e il quartese di Ronchi di Campanile (odierno comune di Villafranca Padovana) e tutto ciò che possedeva "a Vai della Be" (Valle dell'Abate). Nello stesso periodo non solo la colonna di Archuan deteneva beni nei paraggi: il ramo discendente dal fratello Pataro, defunto nel 1471, già nel 1437 era titolare a Valle di Donna Daria di "sie livelli in più persone", capaci di rendere annualmente ventidue lire e dieci soldi. Da questo nucleo iniziale, verosimilmente posseduto già in età carrarese (sec. XIV), prese avvio la lenta espansione territoriale segnata dall'acquisizione di parecchi altri appezzamenti, come ricorda una sequenza di atti notarili stipulati nel corso del XVI secolo. La decisa presenza nella zona del resto è provata anche da altri documenti. Il testamento del canonico Giorgio Buzzacarini, figlio di Pataro, steso l'8 gennaio 1501 è in proposito illuminante. Accanto a diversi lasciti, tra cui un breviario, un palio d'oro o d'argento recante l'arme di famiglia a favore della cattedrale di Padova, troviamo infatti la precisa disposizione affinchè al diletto nipote Giovanni "egregio doctori", figlio del fratello Bonifacio, vadano sia "omnes libros dicti domini testatoris quos habet in domo vel alibi extra domum quos conservare debeat pro Bonifacio eius filio", sia i diritti e le azioni sulla "terras, prata, vineas, arbores, olivanìos, livellos et edificia que sunt in villa Vallis Domine Darie et Domini Abbatis, et in Arquata". I beni immobili lasciati al nipote erano pervenuti al testatore in forza di un accordo definito con i fratelli Bonifacio, Duse, Antonio e Vincislao nel 1479, otto anni dopo la morte del padre Pataro.
Dalla lettura degli atti notarili che interessano l'intera zona emerge la figura di Stefano de Gaiardi del fu Cristoforo "gastaldione" della famiglia, abitante in loco. L'attestazione, fornita dai documenti sull'attività di un gastaldo per l'amministrazione delle proprietà Buzzacanini a Valle San Giorgio, è di estremo interesse per l'economia della nostra ricostruzione: è questi infatti ad abitare parte del complesso che diverrà, sul finire del XVII secolo, villa Torta e, dal 1711, Mantua Benavides. Allo scadere del XVI secolo i fratelli Brunoro e Agostino Buzzacarini detengono complessivamente una frazionata superficie di terra dell'estensione di circa cento campi padovani, cui vanno aggiunti quelli dei parenti omonimi per un'ulteriore superficie non meglio precisata. I Buzzaearini, tuttavia, non sono i soli proprietari che al tramonto del Medioevo mostrano interesse per la felice posizione collinare di Valle San Giorgio. Un'altra famiglia padovana, ma di origine spagnole, i Mantua Benavides, denunciano agli estimatori cittadini beni immobili di vario genere posti nella giurisdizione territoriale di Valle. L'esponente di maggior spicco dell'intero casato resta quel Marco Mantua Benavides (1489-1582) professore dell'Università di Padova, esperto giureconsulto, cui una tradizione tanto radicata quanto infondata attribuisce la paternità della villa in seguito casa canonica posta in prossimità della chiesa di San Giorgio. I beni di Marco, in realtà, amministrati, gestiti e amorevolmente trattati per buona parte del XVI secolo certamente per gli anni 1523/1582 provengono dall'eredità paterna, cioè da quel Giovanni Pietro lettore di filosofia dell'Università patavina negli anni 1492-1499 e sono i beni che lo stesso Marco con testamento del 15 settembre 1581 dispone rimangano alla sua discendenza maschile.
I Mantua Benavides ancora nel 1668 possiedono a Valle una ventina di campi di terra, articolati su cinque appezzamenti, nonché il "diretto dominio sopra una roda de molino con casa de muro coperta de coppi con quartieri tre circa terra arativa e piantata". Tra i fabbricati spicca la casa tenuta per proprio uso "con cortivo, tezza, stalla, caneva, horto et casetta contigua, da gastaldi in contrà del Gorgo, con un pezzo di terra broliva de campi numero sette in circa compreso il detto cortivo et horto che può esser campo uno in circa, con vigne et arbori fruttiferi", cioè il celebrato podere ricordato da Marco Mantua nella sua novella "L'Herernita, overo della Predestinatione", dato alle stampe nel 1525 a Venezia, un podere, come si può capire, ubicato in un luogo ben diverso e distinto dall'omonima villa, sempre indicata in contrà della Chiesa. 
Accanto a queste due note famiglie della Padova veneziana, altre meno conosciute sono presenti tra piano e monte, tra Valle di Sopra e Valle di Sotto. Per l'illustrazione che andiamo svolgendo è quanto meno doveroso ricordare i Guidotti, conosciuti anche con l'abbreviativo Guiotto e nella versione singolare di Guidotto. I beni di questa famiglia, insignificanti per la prima metà del XVI secolo, s'accrescono già dalla seconda metà dello stesso secolo, raggiungendo l'apice nei primi decenni del XVII. A scorrere le polizze d'estimo presentate agli uffici cittadini si evince che la maggiore concentrazione del patrimonio immobiliare è situata tra Montagnana e Casale di Scodosia, il villaggio del Frassine e l'interno delle mura carraresi. Una fortuna durata pochi decenni, dissolta, per ragioni che al momento ci sono oscure, a partire dalla metà del Seicento, giacchè sia i Mantua Benavides sia la famiglia Contessa-Torta, quest'ultima in anni più tardi, denunciano apertamente nelle polizze d'estimo l'espansione del proprio patrimonio fondianio a scapito dei Guidotti.
Nel contesto sociale ed economico sin qui descritto si colloca l'edificio civile di maggior spicco di Valle San Giorgio, cioè villa Mantua Benavides. Dall'analisi della documentazione raccolta è possibile tentare una ricostruzione dell'episodio architettonico che abbiamo di fronte. Ad onor del vero va detto che già l'esame stilistico-costruttivo delle murature aveva in passato sollevato non pochi dubbi sull'unitanietà della costruzione e in particolare sulla contemporanea realizzazione dei diversi coipi che formano la fabbrica residenziale, emersi in tutta evidenza in occasione del recente restauro. Il punto di partenza della nostra ricostruzione è comunque costituito dalla polizza d'estimo di Carlo Torta, cancelliere dell'Università di Padova, consegnata nelle mani dei Presidenti all'Estimo il 2 luglio 1685. Nell'elenco dei beni posseduti, dopo l'abitazione di contrà S. Bemardino di Padova (attuale via Zabarella), s'incontra "una casa dominicale posta in villa di Val di Daria, vicariato di Arquà territorio padovano, in contrà appresso la chiesa, con horto di quartieri tre in circa di terra di monte", seguita da "una casa di muro con molte fabbriche, e torre rovinosa e che hora vo' restaurando, con campi tre in circa terra broliva, et arbori frutiferi, posta in detta villa, e contrà", tenute "per proprio uso" rispettivamente per dimora residenziale della famiglia e per "commodo del mio gastaldo". A questi due immobili s'aggiunge il "tezon detto il Pestrin, ruvinoso e cadente, posto in detta villa, e contrà" confinante "da due la via comune et da due le ragioni suddette", cioè l'edificio adibito a frantoio dell'olio, situato lungo la strada orientale che sale alla chiesa, ben evidenziato in un disegno del 1729 redatto dal perito padovano Lorenzo Mazi. Carlo Torta non si limita comunque alla sola descrizione, poiché di ciascun bene ne indica la provenienza, tanto che l'edificio di Valle risulta acquistato in parte da Antonio Maria Guidotti e in parte da Pataro Buzzaearini. I primi lo abitarono stabilmente fin oltre la metà del secolo XVII, mentre la porzione dei secondi appare adibita unicamente ad alloggio del gastaldo e posta a capo di una tenuta di oltre cento campi "in villa di Val dell'Abba... de quali non si ricava niente de niente", come dichiarano i proprietari nella loro denuncia dei redditi del 1668.
La presenza di Carlo Torta è decisiva per la trasformazione dell'edificio. Titolare dell'intero immobile, celibe, e in possesso di una discreta liquidità, il cancelliere dell'Università destina all'antica casa dei Buzzacarini tutte le sue amorevoli attenzioni, favorito anche dall'aiuto del fratello Nascimbene. Negli anni compresi tra il 1680 e il 1711, il solido fabbricato a pianta rettangolare, piantato a nord sullo sperone roccioso, viene ristrutturato e ampliato, dotato di loggiati sui tre fronti, con sviluppi e soluzioni diverse anche per la presenza di uno strapiombo all'angolo sud-est, e recuperato nei corpi più antichi quali la graziosa colombara dalla scala a chiocciola. Il culto di Carlo Torta per il mondo classico, la sua passione nell'accogliere le antiche lapidi romane (per sua volontà testamentaria finite tutte nel Museo Silvestri di Rovigo, dove ancora si conservano), l'amore per gli strumenti musicali, l'attenzione al collezionismo di medaglie, ben spiegano le reminescenze classiche delle chiavi di volta a teste sporgenti, che chiudono gli archi dei loggiati, e l'adozione di merlature sul profilo estremo delle murature perimetrali. A completamento dell'edificio il cancelliere dell'Università fece costruire una scenografica scalinata che dalla sottostante strada pubblica saliva al centro dell'edificio: scalinata purtroppo demolita agli inizi del Ventesimo secolo, dopo che l'edificio nel 1862 venne scorporato dall'ampio pendio di quasi quattro campi padovani (oltre 15.000 mq) antistante il lato meridionale.
L'edificio ancora oggi mantiene inalterata la classica struttura a pianta rettangolare, ripartita su tre piani (terra, nobile, granaio) con due appendici: una sul fianco nord-est, posta a quote diverse, e una su quello nordovest, in corrispondenza della colombara con torretta scalare di forma cilindrica. Dal lato della chiesa di Valle (cioè il prospetto nord) la costruzione ci appare ad un piano, preceduto da un cortiletto a forma di emiciclo segnato al centro da un percorso pedonale che consente l'accesso dalla mura di cinta all'ingresso principale dell'edificio, il cui portale si presenta decorato da un timpano spezzato. All'interno di un ampio salone passante le murature laterali sono interrotte da sette porte laterali, di cui quattro sovrastate anch'esse da un timpano spezzato; una di queste è murata mentre le restanti tre non hanno particolari decorazioni. Vista dall'esterno, la parete meridionale evidenzia invece i due piani fuori terra e il soprastante granaio; il piano terra è innalzato su cinque archi di portico diseguali e da un primo piano, corrispondente al piano terra dell'ingresso nord, caratterizzato da una regolare ripartizione forometrica, contrassegnata al centro da un'ampia apertura a tre luci con poggiolo. Le finestre laterali a loro volta sono sormontate da piccole aperture ovali capaci di assicurare adeguata illuminazione al granaio del piano superiore. Altri valli si sviluppano ai lati estremi del fabbricato, con funzioni ausiliarie di servizio all'abitazione centrale, accessibili anche da due ingressi laterali, uno dei quali carraio. 
Tornando alla vicenda patrimoniale dell'edificio va ricordato che i Torta mantennero la titolarità dell'edificio per oltre un quarto di secolo, cioè fino a pochi mesi dopo la morte di Carlo, avvenuta il 23 luglio 1711. E infatti in forza del testamento di questi e della successiva morte dei fratello Nascimbene, occorsa anch'essa nel medesimo anno, che il patrimonio immobiliare passa a Gasparo e Antonio Maria "fratelli Mantua quondam nobile signor Andrea"; un patrimonio gestito e mantenuto dai discendenti del giureconsulto Marco fino alla morte, poiché entrambi, diversamente dai predecessori Torta, oltre a non avere figli tanto meno si preoccupano di nominare gli eredi del cospicuo patrimonio. Il legame di amicizia che univa i Torta ai Mantua Bellavides traeva origine dalla vicinanza di abitazioni poste tra San Bernardino e gli Eremitani, dai comuni interessi in Padova, nonché dalla confinanza dei beni degli uni con gli altri a Valle San Giorgio. Purtroppo la morte degli ultimi maschi dell'antico casato di origine spagnola portò ad un'insanabile spaccatura tra gli eredi superstiti, discendendenti dalle sorelle degli stessi Gasparo e Antonio Maria. Dal 1762 al 1805 una lunghissima vertenza legale interessò gli eredi, smaniosi di stabilire a quale di essi spettasse la titolarità del patrimonio lasciato dagli zii: un contrasto che si chiuderà dopo oltre quarant'anni con una salomonica suddivisione dell'intero asse.
Nel 1762 la villa venne ceduta in locazione al comune rurale di Valle (incorporato in quello amministrativo e censuario di Baone nel 1810 in occasione del radicale riordino amministrativo voluto dall'autorità napoleonica) per diventare la nuova abitazione del parroco, visto che la decrepita casa canonica era da secoli dichiarata inabitabile e fatiscente poiché "tutta rovinosa e cadente", tanto da tenere lontano persino il magnanimo vescovo Gregorio Barbarigo, e ancor più i suoi successori il card. Carlo Rezzonico nel 1747 e mons. Nicolò Giustiniani nel 1762 che per conveniente decoro trovarono ospitalità in villa Torta che a Valle si recarono per le visite pastorali, Se la signorile dimora venne subito occupata dal parroco don Antonio Maria dottor Gozzi - rimasto nella storia per avere insegnato al giovanissimo Giacomo Casanova (1725-1798) a leggere, scrivere e far di conto assicurando così agli eredi una rendita annua di 20 ducati, pari a 124 lire, come lo stesso Gozzi denunciò ai Soprintendenti alle decime del clero nel 1769, il resto degli immobili continuò ad essere argomento di vivaci contese.
Ma lasciando le vicende, tristi, della vertenza legale, dobbiamo ricordare che nel luglio 1777 essa ospitò Giacomo Casanova che qui si recò per far visita ai suo ex maestro e alla sorella di questi Elisabetta, detta Bettina, diventata la perpetua di Valle San Giorgio: una Bettina che in gioventù aveva alternato alla scuola del fratello l'insegnamento dell'arte amatoria al giovanissimo Giacomo (tanto da lasciarvi un incancellabile ricordo) e che in quei giorni giaceva, moribonda, sul letto di morte. La venuta dell'impenitente libertino da queste parti, dopo il rientro in Venezia nel 1776 dal lungo esilio forzato, si deve non solo al legame con l'indimenticato maestro elementare e alla sorella di questi ma anche al desiderio di visitare la casa di Francesco Petrarca, poeta amato, studiato e lungamente ammirato dal Casanova sin dagli studi universitari, come ricordano le pagine autobiografiche dell'Histoire de ma vie. 
Tornando alle vicende materiali della nostra villa, va detto che nel 1862 il comune di Baone l'acquistò definitivamente per mantenerne l'uso a canonica di Valle, scorporandola però dal brolo antistante rimasto in proprietà ad altri: una scelta funesta per le sorti dei giardino che in breve fu trasformato in vigneto e che più tardi venne spogliato anche della scenografica scala d'accesso. Dopo tre lustri d'abbandono la villa ha conosciuto un salutare restauro grazie al finanziamento concesso al comune di Baone dalla Comunità Europea, così che nel 1997 essa è stata aperta al pubblico accesso e in parte adibita a sede di istituzioni collinari. Oggi ospita manifestazioni espositive e i turisti che al sabato e alla domenica si avvicinano, delicatamente, a questo angolo incontaminato dei Colli, salvato dall'attacco delle ruspe e dalla speculazione edilizia, hanno la possibilità di ritrovare in questa singolare dimora quell'atmosfera particolare che tanto attirava in passato i nobili padovani insofferenti all'afa estiva della città.

Per ulteriori approfondimenti e per le note d'archivio che suppportano questo breve ricostruzione, rinvio al mio saggio Una villa a Valle S. Giorgio. Note d'archivio su villa Guidotti, Torta, Mantova Benavides, apparso su "Terra d'Este. Rivista di storia e cultura", VII (1997), 13, p. 43-72. 

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