Immigrazione

(Testi di Cappellari Paola)

Il fenomeno dell’emigrazione ha sempre rappresentato uno degli aspetti tipici degli abitanti di Foza iniziando con la pastorizia che portava i pecorai in pianura dall’autunno alla primavera.

Si trattava di una vita seminomade che si protraeva per sei, sette mesi all’anno, piena di sacrifici e di difficoltà.

I cambiamenti politici, economici e quindi sociali tuttavia accentuarono l’emigrazione negli ultimi dell’800, quando arrivarono gli anni neri per la pastorizia per cui il commercio della lana e l’artigianato familiare entrarono in profonda crisi portando evidenti disagi.

Le pecore diminuirono, mentre aumentavano le capre e le mucche, i campi vennero coltivati a prato e molti boschi dissodati per i pascoli ma il ricavato non era sufficiente alle famiglie che si allargavano sempre di più per il gran numero di figli.

La proprietà veniva frazionata con il sistema ereditario per cui la coltivazione del fazzoletto di terra, anche se integrato con i beni della comunità ( legnatico – pensionatico nelle “comunanze”) non assicurava alle famiglie i mezzi indispensabili per vivere.Gli uomini dovettero partire soprattutto verso l’estero.

Si spinsero di preferenza in Germania o in Austria o in Svizzera dove con il loro dialetto riuscivano a farsi intendere, qualcuno andò anche nei paesi della penisola balcanica e più raramente in Francia.

In paese non rimanevano che donne, vecchi e bambini, pochissimi uomini robusti.

Lì si trattava di emigrazione temporanea che si praticava però anche per qualche anno. Verso la fine del 1800 però l’emigrazione permanente perse un certo influsso: gli Stati dell’America Latina, specialmente l’Argentina, il Brasile, la Colombia, il Venezuela videro molti nostri montanari che lasciavano il paese natale dopo aver venduto quanto possedevano a volte anche lusingati dagli inviti di altri emigranti che facevano brillare la speranza di facili guadagni.

Spesso molti che emigrarono rimpiansero di essere partiti. L’emigrazione temporanea portò sicuramente un vantaggio economico al paese: le famiglie vivevano meglio, si acquistarono dei terreni, si migliorarono i fabbricati.

Ci furono, però degli svantaggi morali che si accompagnavano agli uomini lontani da paese: vizi e malattie dovuti all’allentamento degli affetti famigliari. I primi anni del Novecento ripresentarono a Foza con un clima economico migliore grazie anche al nuovo sviluppo dato ai lavori pubblici con la costruzione delle strade Foza-Gallio (1908-1912) e Foza – Lazzaretti(1912-1913) che diedero occupazione a molti uomini ridimensionando così l’emigrazione. Inoltre alla strada del Costo terminata nel 1854 vennero aggiunte altre vie di comunicazione che collegarono tutto l’Altopiano con la pianura nonché la ferrovia inaugurata nel 1909 con il suo trenino che saliva ad Asiago dal Costo.

Tutto questo significava anche per Foza uno sviluppo perché venivano facilitati gli scambi commerciali e gli spostamenti delle persone. La prima guerra mondiale però diede una svolta decisiva ai commerci ed ai lavori. Ci fu un rallentamento di tutto ed una corsa alle armi, alla difesa. Gli emigranti tornarono dalla Germania: i giovani di leva ebbero il biglietto gratuito perché lo Stato sapeva che avrebbe presto avuto bisogno di loro. Sull’Altopiano gli uomini trovarono lavoro per costruire linee di difesa contro il nemico; le prospettive per il futuro però erano tutt'altro che rosee e molti emigranti d’oltreoceano che avevano lasciato le famiglie a Foza aspettarono di tornare a guerra finita nel 1919. Il paese era interamente distrutto, le condizioni erano misere per tutti, i confini chiusi per cui gli uomini non potevano recarsi all’estero per lavoro, unica possibilità di guadagno. A Foza restava come sola fonte di lavoro il campicello ed il lavoro di ricostruzione.

Quando venne meno l’attività edilizia, dopo il 1925, molti uomini dovettero riprendere la via dell’emigrazione. Alcuni si trasferirono con le famiglie nei paesi che offrivano loro lavoro come l’Australia, l’America, il Belgio, la Germania, la Francia e non tornarono più a Foza. La vita dell’emigrante si sa, è dura e molti la dovettero sopportare in tutte le sue dimensioni svolgendo per lo più lavori pesanti come i minatori del Belgio i quali erano sempre in ginocchio con il piccone in amo a scavare gallerie: sembravano tanti tipi. Per risparmiare le spese di viaggio venivano a casa il meno possibile, così rimanevano all’estero due o tre anni, addirittura anche sette. Se erano sposati facevano il possibile di tornare in famiglia una volta all’anno, durante l’inverno e si fermavano per un periodo di tempo più o meno lungo a seconda delle esigenze di lavoro. Alcuni emigranti si sono trovati bene negli Stati in cui si erano recati, come se fossero stati dei cittadini di quelli stessi paesi, altri invece incontrarono difficoltà come per esempio quelli che erano in Francia negli anni trenta perché lo stato era in crisi economica ed avevano distribuito le tessere per il ragionamento.

Per non tornare a casa alcuni Fozesi, dato che il lavoro presso la ferrovia e le acciaierie che li avevano assunti scarseggiavano si dedicarono all’agricoltura, aiutavano cioè i contadini. Qualcuno subì anche delle umiliazioni perché i francesi credevano che gli emigranti fossero delle spie e dei traditori. Difficoltà non indifferenti incontrarono gli emigranti che solcavano il mare e raggiunsero gli stati africano. Benché si fosse trattato di andare lontano, si ritennero fortunati i 25 uomini che furono assunti dalla ditta che appunto li aveva richiesti tramite il Comune. Era nel 1935, le famiglie erano numerose con abitazioni troppo piccole e scarse possibilità economiche. Chi trovava lavoro, ovunque fosse era contento e partiva volentieri. Così si imbarcarono da Trieste per l’Eritrea e precisamente a Massaua. Qui costruivano strade ed ogni italiano era il capo – guardia di un gruppetto di negri.

Sembra però che non corressero buoni rapporti fra negri e bianchi perché, appena arrivati, i bianchi avevano trattato male gli abitanti di quei paesi, così c’era un certo odio e gli abitanti erano visti di malocchio. Dovevano fare molta attenzione i nostri paesani perché se si fossero permessi di insultare un eritreo potevano essere ammazzati, prova ne era che essi avevano sempre il coltello con loro. A volte c’erano anche delle bande di predoni che assalivano i cantieri causando morti e feriti per cui i nostri paesani non potevano certo dormire tranquilli. In Libia sembra che la situazione sia stata un po’ migliore. Sia in Libia che in Eritrea qualche compaesano è rimasto morto, qualche altro ferito. Nel 1938 alcune famiglie di Foza con numerosi figli a carico ebbero la possibilità di andare in Cirenaica a lavorare i terreni, ma poi con la caduta del fascismo dovettero rientrare in Italia. Lo scoppio del secondo conflitto mondiale portò la conseguenza che ogni guerra semina dietro di sé: lutti, fame e miseria.

Anche foza subì le sue conseguenze: i giovani dovettero partire e le famiglie si trovarono senza braccia di lavoro e con una precaria situazione economica. Alla conclusione della guerra la situazione non era certo delle più rosee: l’attività agricola e boschiva restava ancora l’unica risorsa economica. Dal 1946 al 1950 furono anni duri anche perché gli uomini non potevano varcare la frontiera in quanto la situazione politica non era ancora chiaramente delineata. Il Belgio fece un accordo con l’Italia fornendo carbone in cambio di mano d’opera per le miniere di Charleroi e Marcinelle. Uomini di Foza partirono e molti di essi morirono con le conseguenze delle miniere. Molti a loro rischio, emigrarono clandestinamente con l’aiuto di conoscenti e amici già emigrati. Attraversarono i confini di notte per boschi e luoghi impervi e pericolosi. I passaporti in seguito venivano rilasciati mediante contratto regolare con le ditte estere.

Nel 1950 aprì i confini la Svizzera e così molti giovani e uomini paritorono svolgendo lavori duri soprattutto nel campo edilizio ed in particolare nelle gallerie alloggiando nelle baracche di legna in alta montagna. Quelli che trasferivano la famiglia prendevano un alloggio in affitto. Era sempre però una vita difficile e di sacrificio anche perché in alcuni paesi della Svizzera gli italiano erano malvisti e spesso trovavano delle scritte poco piacevoli sui muri: Ci furono anche degli incidenti con alcune conseguenze mortali. Nel ventennio 1950-70 c’è stato un vero e proprio sfollamento del paese basti pensare che gli abitanti da 1724 rimasero in 893. Oltre all’estero si guardava soprattutto alle grandi città: Torino, Milano, Genova, Varese e molti si stabilirono definitivamente in tali luoghi. Altri preferivano fermarsi nelle pianure delle province vicine: Treviso, Padova, Verona e nella zona del bassanese. Dopo il 1970 molti preferirono fermarsi a Foza< e trovare occupazioni in paese o in quelli vicini, in particolare ad Asiago soprattutto nel settore dell’edilizia. In questi ultimi anni tuttavia si sta verificando un fenomeno di pendolarismo verso il bassanese, ciò costa certo del sacrificio, ma alla sera la famiglia è riunita.

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